Parole d'ordine: autorevolezza, leadership, armonia.
“All’idea di tutte queste donne che lavoravano per anni e anni, e che non sapevano dove trovare duemila sterline, e che alla fine riuscirono soltanto a metterne insieme trentamila, non potemmo fare a meno di biasimare la riprovevole povertà del nostro sesso. Ma in che cosa perdevano il tempo le nostre madri, queste madri che non ci avevano lasciato un soldo? A incipriarsi? A guardare le vetrine dei negozi? A pavoneggiarsi sotto il cielo di Montecarlo? Se la signora Seton e sua madre e sua nonna avessero imparato la grande arte di fare i soldi, e poi avessero lasciato il loro denaro, come facevano i loro padri e i loro nonni, per creare fondazioni, istituti, premi e borse adeguate al loro sesso, questa sera avremmo potuto pranzare tollerabilmente, quassù, con un volatile e una bottiglia di vino; avremmo potuto prometterci fiduciosamente una vita piacevole e onorevole, trascorsa sotto la protezione di qualche professione liberamente sovvenzionata. Se la signora Seton e le altre signore si fossero dedicate agli affari dall’età di quindici anni, non ci sarebbe stata – quello era il quid della nostra argomentazione – la mia amica Mary. Il fatto di finanziare un collegio implica la soppressione della famiglia. Accumulare una fortuna e mettere al mondo tredici figli: non c’è un essere umano che possa sopportarlo.”
Nel 1912 Virginia Stephen sposa Leonard Woolf e, nel 1915, fonda con i fratelli Vanessa e Toby il Bloombsbury Circle, un circolo di letterati e artisti che governerà la scena inglese per oltre 30 anni. Nel 1917, insieme al marito, fonda la Hogarth Press per la quale pubblicano Katherine Mansfield, Italo Svevo, Sigmund Freud, Thomas Eliot, James Joyce e la stessa Virginia.
Virginia Woolf scrive romanzi. Scrive per il Times. Diventa una critica letteraria. E un’imprenditrice.
In “Una stanza tutta per sé”, una raccolta di due lezioni che Virginia tiene all’università davanti a un pubblico femminile, affronta il tema dell’indipendenza economica, dell’invisibilità delle donne nella letteratura e di come, delle donne, parlino solo gli uomini.
In una “Stanza tutta per sé” le domande sono tante, tutte ancora molto attuali.
"Qual è l’effetto della povertà sulla mente? E quale l’effetto della ricchezza sulla mente? Perché gli uomini bevono vino e le donne acqua? Perché un sesso è così prospero e l’altro così povero? Quale può essere l’effetto della povertà sul romanzo? Quali sono le condizioni necessarie per la creazione di un’opera d’arte?"
Proviamo a riflettere: cosa ci impedisce di avere un business prospero?
“L’anonimità scorre nel sangue delle donne. Il desiderio di nascondersi dietro un velo è ancora abbastanza vivo in loro” dice Virginia Woolf.
C’è qualcosa che, nella storia delle donne, ci portiamo dentro da sempre: gli effetti della caccia alle streghe. Matilda Joslyn Gage, la prima femminista a parlarne, ha detto «Se al posto di streghe proviamo a leggere donne comprendiamo meglio le crudeltà inflitte dalla Chiesa a questa parte del genere umano». Terrore, disciplina collettiva, denunce anonime. In un contesto dove per essere tacciate di stregoneria bastava essere al di fuori della normalità nel corpo, nel comportamento, nelle parole, abbiamo imparato a mostrarci discrete, docili, sottomesse. A diventare invisibili per sopravvivere.
E questo, quando vuoi un’attività tua, può paralizzarti. Può rendere difficile mostrarti in video, promuovere i tuoi servizi, scrivere un blog post, raccontarti. Cosa accade? Temiamo la gogna pubblica. Il giudizio dell’altro, anche se per noi è un “altro” sconosciuto, di cui non dovrebbe importarci nulla. La nostra invisibilità ci fa sentire al sicuro, protette.
Nel 1991, Katha Pollitt, scrittrice, saggista e critica americana, conia un termine per individuare quel fenomeno all’interno della cultura pop - film, serie tv, libri e fumetti - dove ci sono troppo spesso un gruppo di personaggi maschili come protagonisti e un unico personaggio femminile, di contorno. Katha Pollit la individua come la Sindrome di Smurfette, ovvero la Sindrome di Puffetta. Prova a pensare: quante storie di questo tipo abbiamo visto, sentito, letto? Le tartarughe ninja. Ghostbusters. Stranger things (almeno, nel gruppo iniziale di Eleven). Dragonball. Justice League. I Muppets. Big Bang Theory. Jurassic Park. Jumanji. Il Signore degli anelli. 8 capitoli di The Avengers e i primi 9 capitoli di Star Wars.
Il Geena Davis Institute on Gender in Media ha rilevato che solo “il 10% di tutti i film ha un cast equilibrato dal punto di vista del genere.” Ma come definisce Katha Pollit la Sindrome di Smurfette?
“Il messaggio è chiaro. I ragazzi sono la norma, le ragazze la variazione; i ragazzi sono centrali, le ragazze periferiche; i ragazzi sono individui, le ragazze tipi. I ragazzi definiscono il gruppo, la sua storia e il suo codice di valori. Le ragazze esistono solo in relazione ai ragazzi.”
Siamo cresciute anche con queste storie. A volte possono essere state la normalità, altre l’eccezione. Nella nostra educazione non c’è nulla che ci incoraggi a credere nella nostra forza, nelle nostre risorse, nella nostra autonomia. Tutte le storie per le ragazze finiscono con un principe azzurro e un abito da sogno.
La storia ci ha insegnato che le guaritrici sono state represse, passando il sapere della medicina al monopolio maschile. Quando le donne sono tornate alla professione medica, l’hanno fatto da subalterne in assistenza agli uomini di scienza. E questo è accaduto anche nell’arte: a Zelda Fitzgerald, per esempio. O a Camille Claudel.
In un contesto culturale in cui ci è stato raccontato che la nostra voce non ha forza, non ha valore, non crea la storia né la rende straordinaria con le nostre gesta, come possiamo pensare di avere un business? Come possiamo pensarci imprenditrici? Come possiamo pensarci eroine della nostra storia, sovrane di un regno che abbiamo creato con le nostre stesse mani?
Scegli te stessa e il tuo sogno. Nessuno lo farà per te.
“Nessuna fretta, nessun bisogno di scintillare. Nessun bisogno di essere altro che se stessi” questo ci insegna Virginia.
Per permettere alla tua voce di schiarirsi e schiudersi, di diventare davvero la protagonista del tuo business, puoi iniziare a riflettere sul tuo rapporto con la visibilità e l’indipendenza economica. Come dice Virginia “Non si può pensare bene, né amare bene, né dormire bene, se non si è pranzato bene.”
Dal tuo business, dipende l’esito della tua buona vita.
Prendi il tuo diario e prova a rispondere a queste domande. Di cosa hai veramente paura? Qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere se il tuo business fallisse? E quale la cosa peggiore se dovessi avere successo? Nel business non si perde mai: o si vince o si impara.
Perché riflettere sul denaro? Te lo dico con le parole di Virginia Woolf:
“La libertà intellettuale dipende da cose materiali. La poesia dipende dalla libertà intellettuale.”
Per scrivere questa puntata di Connessioni, Indipendenza, ringrazio “Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf, da cui sono tratte le citazioni dell’episodio. E ringrazio anche “Streghe: storie di donne indomabili dai roghi medioevali al #MeToo” di Mona Chollett, edito in Italia da Utet.
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Sono Alessia, digital strategist e facilitatrice in libroterapia umanistica. Mi occupo di strategie di comunicazione e marketing sostenibili per business al femminile. Dove al centro, ci sei tu.
Adoro Virginia Woolf. È la prima volta che metto il focus sul tema del business e del denaro. Grazie alla capacità di comunicazione, all'intensita' e alla filosofia di vita insita nel lavoro di Alessia Savi. È un vero viaggio, lo dico citando C. P. ESTES "Che ha il suo yin e il suo yang, la sua parte difficile e quella agevole, quella facile e quella onerosa, quella durevole e quella fragile."
Cara Angela, che stupende e magnifiche parole.
Grazie di cuore! Sono felice che questa puntata abbia innescato nuove riflessioni da cui ripartire.
Ti abbraccio!
Alessia