Esiste un modo di fare cultura attraverso il web. Basta cercare nei posti giusti.
I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.
In ordine di tempo, Umberto Eco è stato l’ultimo a sototlineare il lato negativo del web, dei social network, dell’editoria online e del self publishing. Prima di lui, l’editore dei grandi nomi, Wylie. Francesco Ambrosino è stato l’unico a dare un giudizio coerente sull’argomento, andando a caccia di informazioni e cercando di contestualizzare il messaggio di Eco. Una cosa che nemmeno l’Ansa o le testate nazionali si sono prese il disturbo di fare, ci tengo a dirlo.
Difficile per un giornalista accettare che un blogger possa portargli via il lavoro, o per un editore sapere che l’autore potrà pubblicarsi da solo, portandogli via una bella fetta di introiti. Difficile credere che il Piccolo Popolo dei Gattini abbia un’identità e qualcosa di interessante da dire. Allo stesso tempo credo sia importante destituire il mito del web. Come in ogni cosa occorre equilibrio e una padronanza critica sufficiente per separare il buono dal marcio. Un po’ come quando si puliscono le erbette e si levano le foglie secche, si sistemano a parte quelle mangiate dai bachi o quelle che ancora ne hanno qualcuno nascosto nel mezzo. Il web è popolato da Esperti che vendono Niente. Prime posizioni all’interno dei motori di ricerca, campagne marketing da fare invidia all’Armando Testa (non ci crede nessuno, vero? Vero?) senza mai aver letto Marketing Management di Philip Kotler. Personaggi che vendono consulenze senza presentare un portfolio clienti, trainando e partecipando a corsi di formazione come docenti senza che nessuno conosca i risultati ottenuti con il loro lavoro. Ho partecipato a diversi seminari di Photoshop (dal photoretouching al compositing) e ho sempre cercato informazioni sulla persona che mi avrebbe trasmesso il suo sapere. Da chi vede e vive la creatività in un modo che non mi è affine, so che avrei molto poco da imparare. Allo stesso modo tengo alla larga sul web quelli che reputo venditore porta a porta di Nulla. Molti si sono inventati professioni online perché il mercato del lavoro non presentava alcuna possibilità, riversando sulle aziende solo stesso principio: l’apertura a un altro Mare Blu per la pesca grossa. Ad andare avanti, però, saranno solo coloro che troveranno la propria voce e manterranno intatta la propria identità.
Non è una novità che la stampa tradizionale non ami internet e chi lo abita, ma la generalizzazione non ha mai portato a soluzioni concrete.
Non ritengo internet il boia della cultura, quanto piuttosto la cura all’omissione di soccorso che giornalisti ed editori hanno commesso nei confronti del proprio lavoro. Internet viene visto come l’Idolo entro il quale buttare la propria coscienza. Ma è (solo) così?
Internet e Superficialità
La verità è che siamo noi a non sapere stare al passo con i tempi.
L’informazione deve essere veloce, in tempo reale. Internet e i social media permettono proprio questo: leggere quotidiani da tutto il mondo, scambiarsi opinioni e poter scegliere da che parte stare. Per apprendere una verità parziale dobbiamo sfogliare le testate straniere: i nostri giornalisti non fanno più informazione.
Ovviamente non tutti, ma per una buona parte è così.
La domanda essenziale – che nessuno vuole porsi, è la seguente: cosa avvicina l’utente alla rete?
- “Carenza di qualità delle notizie e della loro attendibilità.” Negli ultimi anni si è visto un aumento della censura nell’editoria. I quotidiani nazionali trattano le notizie dal medesimo punto di vista, mirate a dare un unico messaggio a reti unificate. In un panorama in cui i quotidiani non informano ma si limitano a riportare i fatti con parole calibrate, con notizie mirate e mai per fare inchiesta si ha la forte contrapposizione con un pubblico esigente, che chiede – e pretende – informazione. Le notizie non sono attendibili? Dagospia è l’esempio di come questa affermazione vacilli e non trovi effettivo riscontro. È capitato più volte che questa testata online riportasse notizie in tempo reale, in modo più rapido rispetto alle altre testate tradizionali. Altro punto a suo favore è l’indubbia imparzialità politica, che sta alla base di un’informazione che sia davvero tale, lasciando al fruitore finale i mezzi per trarre le proprie conclusioni.
- “Internet non frulla solo superficiali scemenze.” Internet è lavoro, è ludico, è hobbystica. La rete è una frontiera, un mezzo che in quanto tale può essere utilizzato traendo il massimo (o il minimo) dalle sue potenzialità. Affermare che internet è superficiale (soltanto superficiale) denota l’arroganza di chi s’illude che basti un titolo per renderlo autoritario nella propria sfera lavorativa. Si parla di superficialità di internet quando i blog sono una fonte preziosa di informazioni, quando basta guardare Studio Aperto per accorgersi che c’è molto più giornalismo su internet che nei TG nazionali. Ritengo questa affermazione l’esternazione del motivo per cui il giornalismo in Italia sta lentamente morendo, l’arroccarsi su una montagna che si sta sfaldando.
- “La rete non ha compromesso la natura seria, ponderata, impegnata di molti giornalisti e giornali.” Non è la rete ad aver compromesso la natura del giornalismo, bensì tutti i giornalisti che hanno chinato il capo dinnanzi alle imposizioni dettate dalla politica, che hanno preferito fingere di non vedere e non sapere, che si sono lasciati imbavagliare, che hanno preferito evitare di combattere per un’informazione libera. Credo che il video ripreso dal documentario “Viva Zapatero!” di Sabina Guzzanti possa spiegare quale sia il vero nemico del giornalismo in Italia. Consiglio di guardarlo almeno una volta nella propria esistenza. Non è una questione di politica, ma di un diritto all’informazione a cui non dovremmo rinunciare.
Rapporto causa-effetto
L’utente-lettore vuole risposte e non sempre le testate editoriali e giornalistiche possono dargli ciò che cerca.
Il web offre la possibilità di fare ricerche mirate, di scandagliare la rete e leggere per ore decine di articoli che trattano il medesimo argomento. Da un capo all’altro del mondo, se si mastica un po’ d’inglese, si può persino precedere i trend e seguire con occhio attento ciò che avviene oltreoceano.
L’Ignoranza e il Pregiudizio tengono per mano generazioni che faticano a comprendere l’importanza dei nuovi media. Mentre si cerca di digitalizzare la scuola italiana – ultima nelle graduatorie europee -, c’è anche chi cerca di fare letteratura online: sono i lit-blogger.
Quelli che scrivono sul taccuino di Evernote durante la coda allo sportello della posta; che leggono libri alla fermata dell’autobus; che raccontano della loro vita e di quelle degli altri. Sono quelli che condividono istanti su Intasgram e sanno ancora emozionarsi davanti a un tramonto. Sono quelli che amano quello che fanno e te lo mostrano giocando con le parole. Artisti 2.0, con la tecnologia dalla loro parte e un cervello perennemente sotto sforzo, sempre stimolato, sempre attivo e ricettivo verso il mondo che li circonda.
Attenti e garbati, un fiore in bocca e il sorriso negli occhi.
Il Piccolo Popolo dei Gattini fa letteratura e si trasforma nel Popolo dei Book Bloggers. Con Bloggoscritture, il gruppo fondato e ideato da Annarita Faggioni de Il piacere di scrivere di cui ha parlato di recente sul sito di Cultora (giusto perché in rete, la Cultura esiste). Via gattini, gruppi da umorismo di serie B (la pagina di Se i quadri potessero parlare la seguo ancora, mea culpa) e sì a nuove connessioni, alla circolazione delle idee, al confronto di opinioni. Non è un gruppo per egocentrici: quello che si fa, dalle nostre parti, è scambiarsi opinioni. Siamo un gruppo di inquilini un po’ rumorosi, quando ci si trova in compagnia. Sul pianerottolo ci diamo il buongiorno e ci ricordiamo delle ricorrenze poi, a turno, invitiamo gli altri a casa nostra. Si parla di ciò che abbiamo scritto di recente, di ciò che ci ha colpito in quello che ha scritto qualcun altro di cui abbiamo una stima pazzesca. O che riteniamo possa essere utile al gruppo. Poi ci fermiamo in giardino, ci beviamo una limonata fresca e assaporiamo il sole di giugno, quando si degna di uscire. E lì ci vengono idee strane, come realizzare iniziative di cross blogging ed ebook; chiediamo consigli sul miglior programma di fotoritocco, o sul miglior editor di testi. Il piacere della vita in condominio è quella di dividere gli spazi e mettere ognuno qualcosa di proprio al loro interno. Ci risparmiamo la noia e la boria delle riunioni condominiali: quelle le lasciamo ad altri.
Come dice la cara Camilla (aka Zelda was a writer), le parole sono importanti: è il momento di dimostrare quanto valgono l’arte e la cultura sul web facendo squadra.
In silenzio, a piedi nudi sulla sabbia, per non fare rumore.
Per lasciare una traccia che forse qualcun altro deciderà di seguire.