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"L'autenticità online esiste?"
Erano le otto di sera e mi trovavo in auto lungo la tangenziale di Milano. I fari accesi, circondata dalle luci nelle case degli altri, puntini invisibili attraverso cui sbirciare tramite i social network. Basta un click, la geolocalizzazione e qualcuno sarà in Piazzale Gae Aulenti a scattare fotografie per Instagram.
In quel momento, mentre con lentezza cercavo di raggiungere la mia buddy Edy Tassi per partire, l'indomani, per il nostro retreat a Fuerteventura (guidate dalla mia straordinaria amica Giada Carta), stavo ascoltando il podcast di Violetta Bellocchio, Daimon.
E per chi, come me, con i social network ci lavora, fa informazione ed educazione alla consapevolezza, sembrava un ossimoro: ritrovarmi nella capitale della performance domandandomi come cambiare il paradigma del sistema.
"La società della performance" è un libro edito da Tlon, scritto a quattro mani da Maura Gancitano e Andrea Colamedici. Da quando il consumismo è entrato nelle nostre vite - erano gli Anni Sessanta - siamo diventati lavoratori, consumatori e oggi, performer. Lontani dal minimalismo a cui cerchiamo di ritornare, distanti dallo slow living, a caccia dell'ultimo modello di IPhone o dei Nutella Biscuits. Trasformare artisti, cantanti e attori in cartoline da esibire sui social anziché tenersi nel cuore un sorriso e uno spettacolo indimenticabile.
Nel futuro tutti potranno avere i propri 15 minuti di celebrità − Andy Warhol
Se non posti con regolarità sui social pensi di essere dimenticata, di non valere abbastanza se i tuoi contenuti non piacciono al solito numero di persone. Ti chiedi cosa e dove stai sbagliando. Se sei sbagliata tu o è l'algoritmo che non funziona come vorresti. Se non ottieni risultati, pubblichi di più. Incrementi la produzione di contenuti - anche inutili - perché devi esserci con più forza.
La corsa continua all’accumulo di performance è una sostanza stupefacente che dà dipendenza, tolleranza e assuefazione, ma non ti fa mai percepire la pienezza della vita, la meraviglia, il senso. L’importante è che il tuo immaginario sia costantemente colonizzato da performance monetizzabili, anche e soprattutto nel tuo tempo libero. Meglio se scegli di usare il tuo tempo libero per produrre contenuti extra, che chiamerai progetti, identificandoti con essi. La performance deve tenerti sempre in uno stato di ansia. − da "La società della Performance"
Stiamo sui social e a volte non ne possiamo proprio più. Giudichiamo i contenuti degli altri, non li troviamo "abbastanza", snobbiamo i post su Instagram con fotografie mediocri - o normali, come quelle dei vecchi album di famiglia - e non leggiamo che un paio di righe. Mettiamo like distratti alle fotografie belle esteticamente mentre prepariamo il pranzo, riempiamo l'attesa e uccidiamo la noia scrollando senza attenzione il feed di Facebook. Condividiamo notizie senza filtro critico, perché l'ha fatto qualcun altro prima di noi e non ci preoccupiamo troppo della fonte. Entriamo in empatia con quello che leggiamo: ci sentiamo frustrate, arrabbiate, iniziamo a credere che l'estinzione ce la meritiamo e in modo rapido rispetto alla tabella di marcia prevista dal Kali Yuga.
Il problema della società della performance non sono i social network, ma un ecosistema che si è consolidato in sessant'anni di storia economico-sociale dell'Occidente. Con i social, abbiamo solo più strumenti per attuare un collaudato meccanismo mentale. Nella realtà esternare molte delle emozioni che affrontiamo online è impensabile, perché la vergogna e il senso del pudore sono un filtro ancora potente. Sui social no. Sui social tutto questo scompare e allora flussi di coscienza che avremmo riservato solo alle pagine di un diario diventano materiale con cui esporsi, esprimersi, raccontarsi.
Chi ci legge è travolto da uno sfogo emotivo che, forse, non ha né voglia né tempo né desiderio di accogliere.
I social sono un bene o sono un male?
I social network sono neutri, non hanno coscienza: è l'uso che ne facciamo a determinarne l'esito positivo o negativo.
Non si è liberi se si è soltanto liberi di consumare. Si è liberi se e solo se si è liberi di partecipare, di costruire attivamente il mondo che si abita. Di prendersi la responsabilità di giocare sul serio a essere umani. − da "La società della Performance"
La mia ribellione è iniziata ancora prima di scegliere di essere freelance. Ci sono stati gli anni di pratiche spirituali costanti, di meditazioni, di journaling ed esercizi di consapevolezza quotidiana. Il percorso di coaching che mi ha risvegliata dal torpore e mi ha mostrato la donna che ero diventata, mi ha fatto scoprire i miei valori e su quali di essi si muovevano le mie scelte.
Ho iniziato a cambiare le mie priorità con una velocità disarmante, a prendere decisioni che non avrei mai osato immaginare sino a poco tempo prima con il desiderio di ricercare la Felicità, quella autentica. Non volevo più fare nulla che non fosse allineato ai mie valori. Ho rinunciato a un lavoro a tempo indeterminato che mi accompagnava da quindici anni; ho scelto di costruire un modello di business che mi desse indipendenza economica, di pensiero, di azione. Ho lasciato andare cose, persone, case, libri, emozioni. Ho tenuto lo stretto indispensabile e ho iniziato a guardare alle mie giornate con pienezza e gratificazione anche nei momenti difficili.
Ho scelto di essere consapevole, di essere sempre più attenta al linguaggio, alle mie scelte di vita.
Proprio perché viviamo immersi nella società della performance da un punto di vista mentale e attitudinale, tentare di fuggire è inutile. Preferisco farne parte e dimostrare che possiamo esserci in un modo migliore, per costruire e trasformare ciò che ha l'odore di muffa delle vecchie soffitte, delle cose che non si usano più da troppo tempo in possibilità di evoluzione.
Arrivata sino qui, posso dirtelo: l'autenticità online non esiste. Tolto questo apparato teatrale che abbiamo costruito, rimane ben poco. Esistono etica, onestà, trasparenza, visioni. Questo sì.
Quando mostri la tua vulnerabilità, non sei autentica: stai facendo leva sull'empatia.
Se hai una comunicazione aggressiva, non sei autentica: stai facendo leva sulla rabbia.
Quando parli male delle tue competitor, non sei autentica: stai facendo leva sull'invidia e la frustrazione.
Per ribellarti puoi scegliere di esserci con uno scopo, manifestare la tua visione e quella del tuo business.
Non ricercare il mito dell'autenticità ma pensa sempre come vuoi fare sentire le persone a cui parli.
L'autenticità è l'allineamento con i tuoi valori: per questo è un aggettivo che non si sposa con la tua comunicazione ma con la consapevolezza di chi sei e di ciò che vuoi portare nel mondo. Non penserai mai di pubblicare un post sui social pensando "Oggi voglio essere autentica!" ma piuttosto potresti domandarti "Voglio far sentire le mie lettrici ispirate! Voglio farle sentire speciali!".
Ciò che ti permette di essere consapevole di ogni contenuto online è il tuo calendario editoriale. Con il suo aiuto puoi:
Pianificare i tuoi contenuti ti aiuta a mantenere un certo distacco da ciò che ti circonda, ti aiuta a concentrarti sui tuoi ascoltatori e a dare il massimo per loro.
Ti lascio con un insegnamento del mio maestro Carlos Pomeda: se i media ti fanno sentire la paura, difenditi con la consapevolezza e il pensiero critico. Non permettere agli altri di manipolarti attraverso le tue emozioni.
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Sono Alessia, digital strategist e facilitatrice in libroterapia umanistica. Mi occupo di strategie di comunicazione e marketing sostenibili per business al femminile. Dove al centro, ci sei tu.